mercoledì 1 febbraio 2012

STORIA DI ADA E CHIARA

Oggi vorrei parlarvi di Ada e Chiara (ovviamente nomi di fantasia), la sua bambina. 

Quando le ho conosciute Chiara doveva iniziare la prima elementare, aveva cinque anni e mezzo: il suo futuro, almeno secondo i piani di Ada, era già ben definito.

Chiara urlava molto spesso e le sue grida la notte spezzavano il silenzio e il sonno. Erano grida di dolore o di angoscia? Chi può dirlo... Secondo i medici non c'era nulla di fisico o patologico che potesse giustificare un dolore. Di giorno Chiara urlava prima di andare a scuola al momento di vestirsi, per fare colazione, tornata da scuola per fare i compiti, merenda, per cenare, fare la doccia, mettersi il pigiama, andare a dormire. Chiara gridava e Ada a volte era inerme di fronte a tutto ciò: alcune volte semplicemente la ignorava, altre ancora la sua stanchezza era tale che la loro diventava quasi una guerra con Chiara distesa sul pavimento che si contorceva mentre Ada era su di lei e la tirava per i capelli, la strattonava, a volte insultandola. Quando io ero presente cercavo di interrompere quella lotta con uno sguardo che Ada sapeva interpretare molto bene, e che diceva

"Ada: basta. Non dirle che è un mostro. Non dirle che vuoi lasciarla qui e andartene via per sempre. Smetti di vomitarle addosso la tua rabbia. Lascia i suoi capelli! Basta, basta! Smettila".

A volte mi capiva, a volte era inutile.

Chiara, bambina difficile, con tanta rabbia dentro, con tanto dolore. A sei anni portava ancora il pannolino di notte, non sapeva giocare. 

Fuori sta nevicando, continua per tutto il pomeriggio, cerchiamo di resistere e rimaniamo al caldo in cucina, Ada e Chiara sono nella loro stanza, c'è un gran silenzio. Poco prima di cena decidiamo di uscire in  giardino. Chiara non sa giocare, rimane immobile tra la neve, in una posizione grottesca, quasi innaturale, con le braccia aperte, le mani ciondolanti, le gambe a X, in viso una smorfia.

"Vieni Chiara, vieni facciamo un pupazzo!", le dicono tutti. 
"Vieni Chiara!", insistono.

Ma lei rimane lì, intirizzita dal freddo e quasi spaventata dalla neve. 

Perchè Chiara non sa giocare. Neanche a nascondino. Mentre tutti corrono dietro una fioriera, una porta, una siepe lei rimane lì, in piedi, non sapendo cosa fare. Ho spiegato questo gioco tante volte, a tanti bambini: solo Chiara non l'ha mai capito.

Ada aveva tanti sogni per lei: le aveva fatto già un book fotografico, l'aveva iscritta a corsi di equitazione, teatro, ginnastica ritmica, pianoforte, inglese. Voleva che fosse la migliore, che fosse perfetta.

Purtroppo per lei Chiara non riusciva bene in tutto, anzi, purtroppo Chiara aveva grosse difficoltà in tanti campi: non le piaceva il teatro, la ginnastica artistica, il pianoforte, la lingua inglese. Non le piaceva la scuola: forse le sarebbe piaciuta se le aspettative di Ada fossero state inferiori. Se l'ansia che al suo rientro la madre le buttava addosso fosse volata dalla finestra invece che sulle sue piccole spalle, magari le sarebbe piaciuto studiare, imparare, scoprire concetti nuovi. 

Ada forse non vedeva realmente Chiara, ma solo la possibilità di fare cose che a lei non erano state concesse. Non le ho mai viste giocare o leggere un libro insieme, condividere del tempo: occupavano fisicamente gli stessi spazi, ma i loro animi erano veramente insieme?

Le nostre strade si sono separate ormai da alcuni anni.

Nevica quasi ovunque e forse anche di fronte alla porta di Chiara: spero che con lei ci sia qualcuno che la prenda per mano, le accarezzi il viso e la porti fuori a giocare con la neve.